Pillole di SpiritualiTà
Il Rosario si pone nella migliore e più collaudata tradizione della contemplazione cristiana. (San Giovanni Paolo II)
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L'Oratorio come tempo di Grazia
di Desirè Perrone
Birgi, estate 2022 (*riproponiamo un testo scritto dall'autrice mesi fa, al termine dell'Oratorio estivo dello scorso anno, ndr.)
Ho cominciato a fare l’animatrice dal primo anno di liceo, adesso dovrò frequentare il quinto.
Fondamentalmente i bambini si iscrivono all’oratorio per giocare e vincere il premio finale, che -poveri loro- sarà sempre un pacchetto con dei semplici cioccolatini! Per noi animatori l’obiettivo è farli divertire, sì: il 75% della mattina è dedicato ai giochi, e ciò può far capire quanto sia scontato che anche noi teniamo al fatto che loro si divertano. La restante parte della mattina, la parte minore teoricamente, soltanto il 25%, è dedicato ad una scenetta che impegna noi ragazzi ore ed ore il pomeriggio precedente, scrivendo i copioni spesso fino a tarda notte.
Vi chiederete: perché “perdono” tutto questo tempo per una così breve parte della mattina? Voglio spiegarvi. Ogni estate, durante l’oratorio estivo, raccontiamo ai bambini una storia. Di che storia si tratta? Poche settimane prima dell’inizio dell’oratorio ci riuniamo tutti assieme e discutiamo su che cosa possiamo insegnare quell’anno ai ragazzi, poiché oltre a farli divertire, per un mese saremo per loro anche degli “insegnanti”, degli educatori, che hanno come obiettivo accompagnarli verso Lui, Gesù Cristo. Sorge spontanea la domanda: ma in che modo? Dopo aver scelto la storia, la rappresentiamo dal vivo, ogni giorno, con qualche breve scena affinché ai ragazzi venga più facile seguire il corso della storia: ogni giorno una piccola rappresentazione di dieci minuti circa, e dopo questa però si corre diritti in chiesa per approfondire quello che abbiamo visto e per capire cosa quella storia ci ha insegnato.
Questo momento è di formazione non solo per i bambini, ma anche per noi animatori. Il pensierino del giorno non lo fanno soltanto i sacerdoti o le suore, bensì ci mettiamo in gioco anche noi animatori, affinché anche noi possiamo imparare a trasmettere qualcosa così come è stato fatto con noi. Perché fondamentalmente è questo ciò a cui siamo chiamati: trasmettere loro ciò che abbiamo dentro noi. Qualcuno ha fatto così con noi e così dobbiamo fare noi con loro, per rendere omaggio a Dio e per dimostrare la nostra gratitudine ai nostri educatori: trasmettere con lo stesso amore, con lo stesso impegno e, a volte, anche con la stessa fatica.
Questo (*il 2022) è stato un anno particolarmente impegnativo: molti animatori degli scorsi anni erano occupati, per lo studio o per il lavoro, quindi ci siamo ritrovati ad essere un numero minore di animatori, e ciò ha richiesto più impegno da parte di tutti. Spesso arrivavamo a fine giornata davvero sfiniti, senza alcuna forza. Quello che però ci ha spinto ad andare avanti fino alla fine è stato vedere i ragazzi che, oltre a divertirsi, stavano imparando qualcosa, qualcosa di vero, che ormai nessuno di loro riesce ad imparare altrove, perché -diciamocelo- nessuno lo vuole insegnare. Bisogna seguire le mode, perché altrimenti il mondo non ci accetta, e per questo preferiamo negare la realtà, negando il Vero, il Reale.
A proposito di questo voglio raccontarvi cosa mi successe un giorno. Era il momento della merenda e prima di mangiare bisogna benedire il cibo, e così facciamo anche con loro. Facciamo il segno della croce, chiediamo a Dio di benedire noi ed il nostro cibo e divoriamo in fretta la nostra merenda. Quel giorno però mi sono accorta che un bambino non faceva il segno di croce bensì incrociava soltanto le mani nel petto. Era un bambino molto vivace, allora pensai che l’avesse fatto solo perché non gli andava: mi arrabbiai con lui inizialmente, poi però dal suo sguardo capii che c’era qualcosa che non andava. Con più gentilezza chiesi perché non facesse il segno della croce, e lui non mi dava alcuna risposta, e capii che forse nessuno fino allora glielo aveva insegnato, nonostante avesse quasi dieci anni. Perciò lo lasciai un attimo per non metterlo a disagio, però prima di ritornare a giocare lo chiamai a me con una scusa e lo portai in chiesa, feci fare la genuflessione e poi il segno della croce, e capii che davvero non riusciva a farlo: allora rimasi in ginocchio per essere più vicino a lui, e a poco a poco gli insegnai a farlo per bene. Lo ripetemmo diverse volte, e poi appena riuscì a farlo da solo, raggiungemmo gli altri: io felice di aver trasmesso, lui fiero di aver ricevuto. Quello che mi viene da pensare è che se questo bambino non fosse venuto all’oratorio estivo, forse sarebbe rimasto ancora per diversi anni senza saper fare il segno di croce, e questo è molto triste.
Ed è in questi momenti che, nonostante la stanchezza, nonostante il non avere forze, nonostante le fatiche, ti rendi conto che ne vale comunque la pena, perché quello che fai non ti appartiene, quello che fai non lo fai per te, ma per Qualcuno di molto più grande. Quello che fai, lo fai per amore di Gesù Cristo, ed è questo che ti ripaga, è questo che ti dà la forza di continuare e non fermarti mai!
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